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giovedì 28 giugno 2007

Sicari allo sbaraglio: l’Amleto laterale dei Sacchi di Sabbia

(da loschermo.it)
SERAVEZZA (Lucca) - Grosso guaio in Danimarca - Quando spunta la luna a Elsinore di Giovanni Guerrieri è stato il secondo spettacolo proposto dal Shakespeare Festival and what you will di Seravezza. Un allestimento originale in cui la storia del principe danese viene vissuta da un diverso (e sorprendente) punto di vista

Peccato che, a volte, certe rassegne teatrali estive non riescano a supportare al meglio le proprie offerte: Grosso guaio in Danimarca di Giovanni Guerrieri, allestito dalla compagnia I Sacchi di Sabbia in occasione del Shakespeare Festival and what you will, avrebbe certo meritato ben di più rispetto allo sparuto gruppetto di spettatori visti ieri sera presso il Palazzo Mediceo di Seravezza. E di più avrebbero meritato anche in termini di supporto logistico, giacché l'allestimento, di per sé piuttosto semplice (come è nella tradizione del gruppo, per scelta poetica e, purtroppo, economica), si è dovuto adattare alla sala interna del Palazzo, dove per questioni di sicurezza non è stato possibile allestire nemmeno un minimo di luci sceniche. Tutto sulle spalle degli attori, quindi: il napoletano Enzo Illiano, membro storico dei Sacchi, e il toscano Marco Azzurrini, del Teatro di Sant'Andrea di Pisa, con la regia di Angelo Cacelli.

S'inizia con un interrogatorio: un allampanato Azzurrini risponde impaurito cercando di scagionarsi da un'accusa non meglio precisata. Occhi sgranati, buffa insicurezza, replica a domande che il pubblico non sente. Infatti, coloro che conducono l'interrogatorio sono idealmente collocati nello spazio del pubblico (soluzione che rimanda a Eduardo, e la famosa scena del caffè col professor Santanna in Questi fantasmi!). C'è un delitto di mezzo, trapelato dalle parole stentate del poveraccio, parole smozzicate che rivelano più di quel che vorrebbero celare, nella reiterata questua di cibo, "che so… una minestrina...". Entra in scena Illiano: spavaldo, sicuro di sé, con la simpatica sicumera che è dei napoletani. Anch'egli indagato, complice del primo. Tra le parole di uno e le smentite dell'altro s'innesta un gioco efficace, in cui il risultato è una confessione involontaria, manifesta nella successiva scena in cui vediamo l'affamato Azzurrini sorbirsi l'agognata minestrina.

Chi sono 'sti due disgraziati? Rosencrantz e Guildenstern? No: la trama originale non quadrerebbe, giacché sullo sfondo aleggia la storia di Amleto, l'intrigo internazionale tra le corti di Danimarca e Norvegia, in un buffo rivoltare la trama shakespeariana sondandone significati laterali. Più del principe filosofo, intrappolato nel pelago dell'impossibilità d'azione, Guerrieri s'interessa a Laerte, figlio di Polonio, Fortebraccio e Rinaldo, la cui morte in terra di Parigi è al centro dell'indagine. I due maldestri sicari si rivelano via via protagonisti assoluti, e segreti, della tragedia danese: infiltrati nella compagnia di comici che si presenta a Elsinore, coinvolti nelle apparizioni spettrali del padre di Amleto, veri e propri motori d'una vicenda che non sanno comprendere appieno.

Il testo di Guerrieri quindi propone un rovesciamento comico, parodico, ma non banalizzante.
Non si tratta di sputtanare un classico, bensì di metterlo alla prova, reinterpretarlo, farlo coagulare con altre istanze, in una parola renderlo vivo, pulsante, perché solo interpretando i classici come organismi viventi è possibile tentare di carpirne scampoli di senso. Del resto, la lezione di Guerrieri e del suo gruppo "tosco-napoletano" non è inedita, quantomeno in quella linea di teatranti che è una delle (poche) risorse reali della scena italiana: dai ripetuti Amleti di Carmelo Bene (che usava toglierli di scena) al magistrale esempio di Leo De Berardinis, peraltro fra i primi sostenitori dei Sacchi sul finire degli anni Novanta.

All'idea del rovesciamento, corrisponde, peraltro una partitura scenica cucita alla perfezione addosso ai due bravi attori, in questi personaggi buffi, malmessi ma anche lunari, tragicomici nella loro risibile cialtroneria. Nel conflitto linguistico che ricorda il duetto Benigni-Troisi di Non ci resta che piangere (Azzurrini parla in un italiano sporcato di toscanismi, Illiano non disdegna il napoletano stretto), i due imbastiscono un differente gioco da Commedia dell'Arte: qui il toscano è clown nero, vittima succube dell'aggressivo napoletano, un clown bianco cui Illiano conferisce crudeltà e guapperìa. Da sottolineare i tempi dei due interpreti: rapidi, ben calibrati; le battute di entrambi si susseguono come rasoiate, segno non solo di bravura, ma di buona regia. Alla fine, non si può che solidarizzare con queste due spie pasticcione, protagoniste senza comprenderlo d'una storia più grande di loro, e che in questo ricordano un poco i Gassman e Sordi de La Grande Guerra, vigliacchi e lavativi trasformati in eroi per caso.

Una performance da vedere, quindi, ieri sera impreziosita (e non, forse, penalizzata) dalle difficili condizioni di recitare senza supporto scenico adeguato e di fronte a un pubblico meno che esiguo: è probabilmente in situazioni del genere che si finisce per apprezzare ancor di più l'attore, elemento insostituibile d'ogni teatro e suo anagramma perfetto.

Visto il 27 giugno 2007, a Seravezza (Lucca), Palazzo Mediceo.

Spettacolo
Grosso guaio in Danimarca - Quando spunta la luna a Elsinore
di Giovanni Guerrieri
liberamente ispirato all'Amleto di William Shakespeare
con Marco Azzurrini ed Enzo Illiano
tecnica: Federico Polacci
regia: Angelo Cacelli
Produzione: Sacchi di Sabbia - Santandrea Teatro

venerdì 22 giugno 2007

Amori e morte di un Don Giovanni teatrante

(da loschermo.it)
SERAVEZZA - Don Giovanni della Bambola di Andrea Elodie Moretti ha inaugurato la terza edizione del Shakespeare Festival or what you will, presso il Palazzo Mediceo di Seravezza. Si replica tutte le sere alle 21 sino al 30 giugno (24 e 27 esclusi).

La terza edizione del Shakespeare Festival or what you will apre i battenti nella suggestiva cornice del palazzo mediceo di Seravezza. Giunta alla terza edizione, l'iniziativa patrocinata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Seravezza in collaborazione con Accademia Policardia, Compagnia Teatro Sottratto e New Artist Drama vede al debutto lo spettacolo Don Giovanni della Bambola di Andrea Elodie Moretti, attore e regista già agli onori delle cronache teatrali e liriche per una decennale collaborazione col Festival Pucciniano e numerose iniziative che lo hanno portato a lavorare in Versilia.

Artista molto attivo e di buone letture, Moretti è autore di una partitura scenica composita costruita intorno alla figura di Don Giovanni: vi si alternano senza sosta lacerti di Byron, di Moliére e, ovviamente, del Bardo inglese, ma il pastiche è arricchito da ulteriori testi, noti e meno noti, che costituiscono il singolare bottino di scorrerie picaresche all'interno della cultura teatrale e letteraria occidentale.

Il Don Giovanni morettiano è un libertino tragico che nella dissipatezza orgiastica dei propri ménage coltiva una terribile e disincantata visione del mondo, visto alla stregua di un insensato agglomerato di esistenze. È il principio d'ogni teatro gorgonico, riecheggiante la risposta che il satiro Sileno sputa in faccia all'umano re Mida: non essere mai nati oppure morire al più presto. Questo il terribile segreto sapienziale che Dioniso, divinità del gioco, del vino e del teatro, cela ai mortali, liberati dal dolore solo attraverso l'estasi del sesso, dell'arte, dell'ebbrezza e della morte.

Giovanni Tenorio è quindi un teatrante, non differente dall’Amleto capocomico, icona irrinunciabile di chi alla vita non può che preferire la scena, giacché in essa tutto è urgente, necessario, decisivo. Parole che riecheggiano le teorie di Artaud, filtrate magari attraverso l’esempio scenico di Carmelo Bene: tutti elementi presenti a vario titolo nel lavoro di Moretti, vero pout-pourri di trovarobato teatrale e filosofico.

Gli spettatori vengono accolti all'esterno del Palazzo Mediceo: un prestante Vincenzo (Davide Moretti) li introduce in quella corte dei miracoli che ruota intorno al suo signore, Don Giovanni, colui che l'ha prima salvato e poi ribattezzato Stosticchiu, in siciliano questa fica. Il portone si apre sul cortile dell'edificio, divenuto spazio teatrale a tutto tondo, dal momento che gli attori entrano in scena sia dal loggiato sia dal portone d’ingresso. Il pubblico si colloca ai lati, ammaliato da una festa che presagisce l'arrivo del protagonista assoluto della storia: sulle parole di John Wilmot (protagonista del libro The Libertine di Stephen Jeffreys, interpretato da Johnny Depp nella pellicola firmata da Laurence Dunmore nel 2004), fa il suo ingresso Don Giovanni Tenorio, sprezzante, debosciato, fiero, re dei bordelli e dei teatri. Perseguitato dalla moglie (Federica Rosi) e dal padre (Stefano Cherubini) in virtù d’un dovere coniugale dalla passione sfiorita, Giovanni ha però perso la testa per l’arte scenica, unica risorsa in grado di rendergli la vita tollerabile. Protegge, presso il Regio di Agrigento amministrato dalla signora Dumas (Natalia Bianchini), la giovane attrice Eleonora Oscià (Giulia Benetti), con la promessa di aiutarla a divenire una grande interprete shakespeariana: occasione buona per allestire, col vecchio stratagemma del teatro nel teatro, il dialogo tra Riccardo III e Lady Anna, una delle più celebri pagine del Bardo.

Lo spettacolo si sposta al primo piano del palazzo ove gli spettatori sono condotti da uno zannesco Stosticchiu, a metà tra un carontesco imbonitore e un ammiccante Pulcinella. Al centro della stanza, su un ampio velo bianco, Don Giovanni s'intrattiene con la bella Greta delle Arance (Elena Vichi) in un'atmosfera che rimanda a La philosophie dans le boudoir, mirabile testo del Divin Marchese de Sade. La prostituta comunica a Giovanni che la sua favorita, Bambola, è morta di sifilide, cerca di consolare il signore, ma s’arrende di fronte agli struggimenti del libertino che pensa soltanto all'attrice conosciuta poco innanzi.

Dopo un serrato confronto tra il protagonista e la moglie, si torna “a teatro” (il cortile del palazzo mediceo) per assistere alla recita della pazzia di Ofelia, prova del fuoco per Eleonora Oscià e per il suo novello mecenate Giovanni che, alla fine della rappresentazione, avrà l'ultimo e fatale confronto col padre, cui rinfaccerà un'infanzia d'indifferenza e dolore.
Si chiude con la morte dell'eroe, tragico epilogo che riprende nuovamente le parole del libertino di Jeffreys. Giovanni si rivolge al pubblico, prima affrontato con sprezzo e superbia, chiedendo malinconicamente: «e ora, vi piaccio?»

Difficile esprimere un giudizio univoco sullo spettacolo: convince la costruzione scenica, per quanto non brilli d’originalità, giacché avvicinare storie decadenti all'immaginario pop e glam è operazione già ampiamente sperimentata nel teatro novecentesco, vale a dire del secolo scorso. Interessante è comunque la costruzione del personaggio di Don Giovanni, sospeso tra mitologia romantica e dimensione rock (da notare le lenti diversamente colorate indossate da Moretti, che rimandano, tra gli altri, al controverso Marylin Manson), in special modo nel rapporto, conflittuale e complice, col servo Stosticchiu, relazione simboleggiata dal continuo passaggio della livrea a coprir alternativamente il torace di uno e dell’altro.
I problemi dell’allestimento emergono se però se ne confrontano gli obiettivi poetici (altissimi) e la loro concretizzazione scenica. Non si vuol parlare dell'imperfetta recitazione degli attori che affiancano il protagonista: sono per lo più giovanissimi, nel pieno degli studi e dunque meritevoli d'incoraggiamento, sperando magari di poterli rivedere in futuro più bravi e precisi.

Il difetto di questo Don Giovanni della Bambola sta, a nostro avviso, in una mancanza di verità (in senso teatrale) che dovrebbe condurre un allestimento di questo tipo allo scandalo e non allo scroscio d'applausi di un tranquillo pubblico estivo: sarebbe preferibile veder gli spettatori indignarsi di fronte a uno spettacolo fatto male, ma coraggioso e osceno, piuttosto che ricondurre Giovanni e la sua corte a un'atmosfera di borghese accettabilità.

Don Giovanni muore per il teatro e spregia la vita: esempio altissimo di scelta definitiva, che male s'adatta a essere imbrigliata in una messa in scena che, svanita l'eco dell'ultimo battimani, lascia pubblico e attori uguali a sé stessi.

Il teatro, lo diceva Artaud, dev'essere peste necessaria, urgente, malattia che, una volta sopraggiunta, niente lascia d'intatto. L'augurio è che Don Giovanni sappia col tempo ammorbare i suoi giovani attori, rendendoli bugiardi, sboccati, osceni e perciò veri: solo dopo sarà possibile diffondere il germe convincendo veramente (o scandalizzando, che è un'alta forma di convinzione) pubblico e critica.

Visto a Seravezza, Palazzo Mediceo, il 21 giugno 2007.

Spettacolo
Don Giovanni della Bambola
da Molière, Shakespeare e Byron
di e con Andrea Elodie Moretti
con Davide Moretti, Giulia Benetti, Natalia Bianchini, Federica Rosi, Stefano Cherubini, Elena Vichi e altri