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lunedì 22 settembre 2008

Quant'è insulsa l'umanità... L'ultima cattiveria dei fratelli Coen

(da loschermo.it)
LUCCA - A prova di spia - Burn After Reading è il divertentissimo film dei fratelli Coen (Joel e Ethan, freschi di consacrazione hollywoodiana con l'Oscar per Non è un paese per vecchi) presentato quest'anno a Venezia e uscito nelle sale italiane venerdì scorso (19 settembre). Una spy story grottesca e parodica, uno sguardo amaro sulla follia dell'umanità d'oggi e tanto, tanto cinema. Da vedere assolutamente

Dopo il monumentale Non è un paese per vecchi (orig. No Country for Old Men, Oscar 2008 come miglior film), Ethan e Joel Coen tornano sul grande schermo con una pellicola certo diversa, ma non troppo distante dalla precendente, almeno per la totale dis-speranza dello sguardo feroce sull’umanità contemporanea.

A prova di spia - Burn After Reading, presentato fuori concorso a Venezia, è film divertentissimo, arzigogolato e tagliente, secondo canoni consolidati per i due fratelli terribili. Un cast di autentici fuoriclasse del main stream hollywoodiano, in cui le due attrici (la cinica e puntuta Tilda Swinton, fresca di Oscar per Michael Clayton, e l’irresistibile Frances McDormand, moglie di Joel Coen, anch’essa Oscar per Fargo, nel 1997) la fanno letteralmente da padrone, costituisce l’ottimo materiale umano che ha permesso ai Coen di allestire una commedia allucinata e amara sul mondo d’oggi, evidenziando con ghignante cinismo le idiosincrasie, gli scarti, le futilità dell’America contemporanea. John Malkovich è Osborne Cox, un agente CIA in disgrazia per problemi etilici e contro il quale sembra essersi rivoltato il mondo: la moglie Katie (l’impietosa Swinton) lo lascia gettandosi tra le improbabili braccia di Harry, un George Clooney gigione e infantile, autentico maniaco del fitness e degli incontri via internet. La decisione di scrivere le proprie memorie da parte dell’ex analista CIA si rivela il motore di una vicenda oltre i limiti del paradosso: il cd con i "segreti" dei propri anni di servizio presso la fatidica "Agenzia" (il nome con cui negli USA si indica la CIA) viene sottratto dalla Swinton e smarrito in una palestra, ritrovato da Linda (Frances McDormand), una donna frustata dalla quarantina incipiente che coltiva il sogno di ricorrere alla chirurgia estetica per far di sé una persona nuova. Sodale di Linda è il giovane e palestrato istruttore Chad, un incontenibile Brad Pitt alle prese col personaggio più idiota e buffo della propria carriera. Linda e Chad, compreso non si sa come il contenuto esclusivo e segretissimo del dischetto, s’improvvisano agenti segreti: prima cercano, invano, di ricattare un Malkovich esasperato (la moglie l’ha cacciato letteralmente di casa), poi di rivendere il "prezioso" supporto a degli attoniti funzionari dell’ambasciata russa, come se fosse ancora in corso la Guerra Fredda. La storia di ogni personaggio s’intreccia imprevedibilmente con quella degli altri, creando una trama vorticosa e ben condotta dalla sapiente mano dei due registi: sembra di essere in una versione moderna d’una pochade di Feydeau. Divertente osservare come Burn After Reading sia intimamente legato ad altre pellicole coeniane, per motivi sempre diversi: la forma comica e il ritmo fanno pensare allo stracult di Il grande Lebowski (orig. The Big Lebowski, del 1998), film però ben più "squinternato" del presente, la tragica idiozia dei personaggi riporta invece all'impietoso Fargo e, in certe sequenze, al memorabile Barton Fink (1991); infine, questa è la prima sceneggiatura originale firmata dai Coen dopo il bellissimo L’uomo che non c’era (orig. The Man Who Wasn't There, 2001), considerato l'ultimo film integralmente coeniano prima dell'Oscar conseguito nello scorso marzo.

Risparmiamo l’evoluzione della trama a chi ha bisogno di non sapere "la storia", dicendo soltanto che, nella movimentata molteplicità dei caratteri in scena, solo uno di questi vedrà coronato il proprio personale (e più futile) obiettivo. Finirà male anche per l'unico personaggio apparentemente assennato, quel Ted (l'ottimo Richard Jenkins) che, proprietario della palestra e (non si sa perché) innamorato di Linda, finirà per cedere alla follia che lo circonda commettendo un unico, ma fatale errore. "Non c'è salvezza", sembrano affermare i Coen, con un ghigno satirico ben stampato sulle labbra: nessuna salvezza per un mondo completamente centrifugato tra idiozie, monomanie e la totale assenza di comunicazione vera. Impressionanti, infatti, i dialoghi tra la McDormand, Clooney e Pitt (questi ultimi due splendidamente assortiti in un duetto comico stile Scemo & + scemo) sono piccoli e disarmanti compendi di odierna cultura pop: sembrano strappati dalle riviste per signora o dalle rubriche di psicologi d'accatto e oroscopi assortiti.

Si ride, alla visione di Burn After Reading: i Coen, come per Fargo e Il grande Lebowski, mettono in campo personaggi costantemente "non all’altezza" del proprio ruolo, illustrando con cattiveria grottesca gli infiniti labirinti della stupidaggine umana e delle sue tragiche conseguenze. E se il tanto reclamizzato mondo contemporaneo, iperripreso, ipercontrollato, non fosse nient’altro che una gigantesca bufala? E se bastasse davvero un’oca alla soglia dei quarant’anni per mettere in crisi il sistema di intelligence dell’unica potenza rimasta? Del resto, è pur vero che George W. Bush stava per morire strangolato inghiottendo un salatino...

Si ride, per quanto ci sia ben poco o, meglio, nulla da ridere. Del resto, la grande comicità non si esaurisce nel semplice singulto d’una risata: in questo senso, Burn After Reading si segnala, al pari delle citazioni più o meno velate presenti al suo interno (dal Cluseau dell’indimenticato Peter Sellers a certe atmosfere kubrickiane del Dottor Stranamore), come un altro grande capitolo di quella gigantesca, folle comédie humaine cui rivolgono puntualmente lo sguardo i fratelli Coen. I quali sembrano affidare il proprio punto di vista allo stordimento del responsabile CIA interpretato da un indimenticabile J.K. Simmons: l'ufficiale, infatti, segue lo sviluppo di tutta la storia dall'esterno (dopo tutto Malkovich è un ex agente dell'Agenzia), senza peraltro capirci niente. "Dovremmo imparare a... non rifarlo...", afferma, cercando di dare un senso, una morale alla vicenda. E, sconsolato, aggiunge: "Se solo sapessimo cosa...".
Da non perdere.
Visto il 21 settembre 2008.

Film
A prova di spia - Burn After Reading
Regia: Ethan Coen e Joel Coen
Sceneggiatura: Ethan Coen e Joel Coen
Musiche: Carter Burwell
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Ethan Coen e Joel Coen
con Frances McDormand, Tilda Swinton, John Malkovich, George Clooney, Brad Pitt, Richard Jenkins, J.K. Simmons
Durata: 96 min

lunedì 8 settembre 2008

Vieni avanti pretino: la fantomatica morte di Giacomo Puccini

(da loschermo.it)
SERAVEZZA (Lucca) - Torna a vivere il suggestivo spazio scenico della Cava Barghetti di Seravezza: quest'anno Evocava ha presentato lo spettacolo originale Chi ha ucciso Giacomo Puccini?, affettuoso tributo al compositore lucchese sottoforma di monologo, protagonista Massimo Grigò

Sono quasi passati dieci anni dai primi spettacoli realizzati all'interno del teatro naturale rappresentato dall'imponente Cava Borella, sopra Vagli. L'idea di rivitalizzare uno spazio faticato, sofferto, come quello di una cava marmorea è un interessante esperimento, realizzato con successo dal gruppo Evocava. Negli ultimi anni, oltre allo spazio vicino a Vagli, si è iniziato a sfruttare il ben più piccolo (ma non meno suggestivo) antro della Cava Barghetti, a Seravezza, di certo, assai più raggiungibile dell'omologo vagliese, dato che si trova a non più di trecento metri di salita sterrata dal bel palazzo Mediceo del centro versiliese.

Lo spettacolo che quest'anno, purtroppo per sole due date, è stato offerto si pone nell'ambito delle molte, eterogenee iniziative in memoria di Giacomo Puccini per il 150° anniversario della sua nascita. L'originale teatro scavato nel marmo di Seravezza ha ospitato quindi un allestimento inedito, leggero e affettuoso, dal titolo Chi ha ucciso Giacomo Puccini?, ideato e realizzato da Andrea Tessieri, Maurizio Guidi e Piero Nannini, quest'ultimo autore del testo e muta presenza scenica al fianco del monologante Massimo Grigò.

Le musiche, tutte tratte e ispirate dal repertorio pucciniano, sono state rielaborate e campionate dal musicista e compositore Nicolao Valiensi, autore d'un brillante lavoro, e per una cernita dei brani remota da qualsivoglia banalità e per la capacità di giocare (del resto, suonare in inglese e francese è sinonimo di giocare) con le partiture del Maestro.

Si apre con una figura che, percorrendo la platea dal fondo verso il palco, entra in scena mentre le casse diffondono le note d'inizio del Tabarro. L'uomo in scena non è, però, il protagonista "pretino musicolfilo" divenuto, dal 1887, intimo amico di Giacomo Puccini, ma il silente Rodolfo (l'autore Piero Nannini), sacrestano tuttofare al servizio del chierico. Quasi subito, però, si capisce che la musica non è esattamente quella "originale" del maestro, ma una sequenza ripetuta, reiterazione di alcune misure in minore, a creare un singolare effetto misterioso. I gesti del personaggio sono misurati, quasi ieratici: dopo qualche indugio, procede alla sacra vestizione di un'altra figura umana, sulla destra della scena dove è collocato un piccolo armadio di legno verde scuro. Indossata un'elegante tonaca, Massimo Grigò raggiunge il grande tavolo centrale, coperto di libri e, sulla sinistra, da un busto marmoreo.

Don Pietro Panichelli (questo il nome del pretino) inizia a parlare direttamente al pubblico, come in una confessione aperta. Racconta il suo amore per Puccini, il primo incontro e la storia di un'amicizia durata per tutta la vita. Lo snello prelato ha modi rapidi, furbeschi: l'attore è bravo a caratterizzare il personaggio con sapienti tic espressivi, un certo muover d'occhi, ora densi d'amical commozione ora agitati da una linguacciuta malizia. La vita di Puccini è ripercorsa come su una tela, animata da repenti ma vivide pennellate di colore: Panichelli incarna sia la bonarietà un po' ingenua del parroco sia la perfidia tutta femminea d'una perpetua che non c'è. A lato, l'afasico Rodolfo, tirato in ballo per mescere bicchieri di rosso al prete; che contribuiscono a sciogliergli la lingua, lama affilata nel tranciare giudizi sulle persone vicine all'amato Maestro. Donna Elvira, la moglie, è dipinta qual volgare matrona, già sposa d'un commerciante, e così via via tutti gli amici, sia gli artisti (i "rivali" Mascagni e Leoncavallo, detto scherzosamente Leonbestia dallo stesso compositore) sia i compari delle varie brigate che Puccini frequentava in quel di Lucca o Torre del Lago.

Mano a mano che il divertente racconto procede, il "pretino musicofilo" rievoca i capolavori dell'amico e Rodolfo prende dall'armadio i vari costumi dei protagonisti delle opere pucciniane, variopinti indumenti dall'alto valore iconico: il kimono per Madama Butterfly, il vestito settecentesco di Manon Lescaut, il rosso scarlatto del vestito di Tosca.
Grigò prosegue nell'affabulazione: da un lato, si deve registrare qualche inciampo nell'eloquio (ben mascherato dal gran mestiere del bravo attore fiorentino), dall'altro si plaude alla perfetta interpretazione sia nel rendere in modo sottile e preciso la psicologia del buffo personaggio, sia per la singolare colorituta linguistica, una calata d'impronta versiliese che rappresenta un'ottima scelta per un prelato dai natali pietrasantini. E anche Puccini è reso, nelle parole dell'amico, in modo vivido, da quel toscanaccio che era, pronto alla battuta irriverente, come testimoniato dalla doppia quartina Cacca di Lucca, una poesia di carattere scatologico sulla purezza, anche morale, della Lucca escrementizia.
Il quid dello spettacolo è però altrove, non nell'efficace pittura d'ambiente, bensì sul giallo tutto inventato da don Panichelli: Puccini non sarebbe morto a causa del tumoraccio che lo colse a Bruxelles, il 29 novembre 1924, ma prima, nel 1918, nel corso di una cantata di maggio svoltasi a Seravezza, alla presenza del Maestro, della moglie, degli amici artisti, d'una sospetta amante e del pretino medesimo. Nel trambusto festivo, con il coro di maggianti a intonar un brano del compositore, il corpo del medesimo è scoperto esanime con una spada conficcata nel costato: nessun colpevole evidente. Don Panichelli assume il ruolo d'un improbabile Sherlock Holmes, alle prese col delitto dei delitti: chi ha ucciso Giacomo Puccini? L'azione viene smontata, ripercorsa, analizzata, e con essa ogni partecipante notevole della festa, compreso quel Lorenzo Viani sorpreso a "prender le misure" al cadavere "stecchito a seguito di una stecca", subito dopo il fatto, in vista d'una futura statua. E l'indagine del linguacciuto prete amante del buon vino è un'ulteriore occasione per rievocare episodi, storie, relazioni e personaggi della vita di Puccini.

Da ammirare la precisione filologica del testo di Nannini, che fonde in un racconto la fantasia del giallo whodunnit alla correttezza dei riferimenti biografici, non senza gustose licenze, comunque giustificate dai vari contesti. Certo, la struttura drammaturgica è un po' debole, ma non sta certo qui lo spirito dello spettacolo, che, anzi, ha nel gioco fantabiografico la sua cifra primaria: un divertissement ben condotto, affettuoso e che mai rischia di annoiare. Anzi, quando alla fine, Panichelli "ritrova" (o crede di ritrovare) il volto dell'amico nelle rughe petrose del marmo abbandonato della cava Barghetti, in quei solchi di roccia dal nitore perduto ormai sporca di faticato abbandono, lo spettacolo riesce persino a emozionare, complice il volto di una Butterfly a metà impersonata da Piero Nannini. L'impronta del viso maschile, tagliato in due parti dal trucco del celebre personaggio pucciniano, restituisce questo spettacolo leggero ma non troppo a una dimensione teatrale autentica, legata a doppio filo con l'indefinizione, sessuale e realistica.
Un'ambiguità che doppia quella dei sentimenti del bizzarro don Panichelli per l'amico e che nella maschera grottesca di Nannini riacquista una potenza sorprendente. Non è poco.

Peccato che le repliche siano soltanto due: è augurabile che iniziative del genere, pure aliene da qualsiasi speculazione (artistica ed economica), possano ricevere le giuste attenzioni sia dal pubblico (comunque presente alla recita) sia delle amministrazioni che troppo spesso usano la parola "cultura" in modo non troppo consapevole.

Di seguito, per chi non lo conoscesse, il testo delle due quartine escrementizie composte da Giacomo Puccini:
Cacca di Lucca è sempre senza pecca
anche se è fatta in fretta da baldracca
sia nera, gialla or rossa come lacca
cacca di Lucca è sempre senza pecca.
Sia secca, o a oliva cucca, o a fil di rócca
o fatta a neccio come fa la mucca,

il suo profumo acuto mai ci stucca,
cacca di Lucca è proprio senza pecca


Visto il 7 settembre 2008, a Seravezza (Lucca), Cava Barghetti.

Spettacolo
Chi ha ucciso Giacomo Puccini?
ideato e coordinato da Maurizio Guidi, Piero Nannini e Andrea Tessieri
testo di Piero Nannini
con Massimo Grigò e Piero Nannini
musica di Nicolao Valiensi (rielaborazione da brani di Giacomo Puccini)
regia audio: Stefano Nannizzi
Produzione: Evocava

Foto: Igor Vazzaz