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giovedì 20 dicembre 2007

Il burattino prigioniero del teatro

(da loschermo.it)
LUCCA - Dopo l’anteprima della scorsa stagione, il
Teatro del Carretto torna al Giglio con Pinocchio, avvincente riflessione sul teatro e sul senso della fiaba italiana più celebre al mondo. Lo spettacolo affronterà un’imminente tournée che porterà la compagnia a esibirsi, nel gennaio venturo, sulle tavole del prestigioso La Mama’s Theatre di New York

Una gradita sorpresa il Pinocchio firmato da Maria Grazia Cipriani: l'anteprima del dicembre 2006 ci aveva lasciata qualche perplessità, sfocata e resa vaga nella memoria dal passare del tempo. Lo spettacolo visto ieri sera sembra invece assai cresciuto, in energia, scorrevolezza e potenza evocatrice, segno che i mesi di prova sono stati proficui dato che, confermano gli stessi attori, nessuna modifica strutturale è stata apportata al lavoro. Si è del tutto persa una certa sensazione di lentezza, quasi d'inerzia, sostituita in modo felice da un ritmo scenico efficace, e nelle sequenze della storia e nei meccanismi degli affiatati interpreti.

Le avventure di questo Pinocchio si dipanano in un unico ambiente, lugubre e polifunzionale, un'arena inferica, subito dominata dalle sonore scudisciate d'un tirannico domatore alle prese con un corpo sottomesso, umiliato. Quest'ultima presenza assume presto le parole collodiane attribuite a Geppetto per poi convertirsi nel protagonista, Pinocchio. La storia non si scrive, non si recita, non s'inscena: essa ci scrive, ci recita, ci mette in scena, attraversandoci, così come accadde più d'un secolo fa a un medio scrittore toscano che, senza quel burattino manifestatosi attraverso la sua penna, sarebbe di certo ignoto ai più.

La struttura scenica, di pareti scure a racchiudere il palco, s'anima partecipe del gioco teatrale, fornendo entrate, uscite, finestre e feritoie da cui spuntano indifferentemente oggetti e attori con sembianze ora d'animale ora di maschera. Lo spazio è prigione, arena, ring, cui i cambi di luce, dai toni lunari del Campo dei Miracoli alle cromature più intense e circensi nel Paese dei Balocchi, conferiscono continui slittamenti semantici.

Il tutto è dominato da Giandomenico Cupaiolo, sorprendente per atletismo attorico: il suo Pinocchio è un ciarliero moto perpetuo, le cui reiterate cantilene acute rappresentano una chiave musicale interna al personaggio. La guittezza fisica s'accompagna a scarti continui nell'uso della voce, che va dal patetico-parodistico (quando intona Ridi pagliaccio...) al buffonesco circense: maschera fuggevole, di retrogusto amaro, che non si sottrae all'ambiguità d'un accennato amplesso con la Fata-Bambina, memore, in certe modulazioni, della lezione di Carmelo Bene, patrimonio ormai acquisito in fatto di messinscene collodiane. Da applausi i perturbanti duetti con Elsa Bossi, fata Turchina, infanta, donna, madre e marionetta, i cui cambi di voce e movenza al mutar di personaggio (pensiamo alla scena in cui il burattino malato viene visitato dai tre dottori) sono prove di maestria interpretativa, distanti da certi manierismi, moneta corrente nella recitazione per lo più psicologica dei nostri teatri.

La storia, si diceva, è rispettata in senso filologico e nella sequenza degli episodi: costanti sono la presenza del protagonista e la scenografia che, ben al di là degli altri bravi attori, rappresenta il reale interlocutore-sparring partner del burattino. I momenti di (apparente) distensione sono franti da violenti cambi di scena, amplificati d'intensità dall'effettistica sonora: le marce di Julius Fucik s'alternano a Puccini e Leoncavallo per annichilirsi e svanire all'irrompere d'un nuovo quadro.

L'evoluzione della vicenda è nota: Collodi condanna la sua migliore creatura a una morte violenta, al macello più feroce, la rinuncia al burattino in favore del bambino, adesione al modello del bravo borghese in cui la scuola è propedeutica del lavoro e della produzione. Non si rese forse conto l'autore del libro italiano più popolare del mondo, Commedia dantesca esclusa, del prodigio che l'ispirazione gli aveva (casualmente?) recato in dote: Pinocchio, benché invenzione tardo ottocentesca, ha la potenza ctonia delle maschere carnevalesche, la loro demonica irriducibilità, quel precipitato di forza che gli Arlecchino e i Pulcinella traggono dal fatto d'esser spiriti inferici stornati al comico dalla cultura popolare. In tal senso, la scena chiave del testo, terribile ed efficace, è la recita alla corte di Mangiafuoco, cortocircuito semantico in cui le maschere riconoscono Pinocchio quale fratello, l'acclamano, mettendolo infine nei guai. È questo sintagma a sancire il legame profondo e irrinunciabile che lega il burattino collodiano al mondo del teatro, al suo rapporto intimo con la morte.

Al termine dell'allestimento, che alterna il grottesco espressionismo plastico di corpi e maschere alle proiezioni oniriche in grado di trasformare di continuo l'angusto spazio scenico, è significativo, quindi, il finale proposto da Maria Grazia Cipriani: in un'atmosfera dimessa, desolata, quella presenza ambigua che fu marionetta impertinente e bugiarda scopre le carni della propria novella figura d'uomo. D'intorno le altre maschere, affrante e atterrite dall'inaccettabile visione. Quel corpo, ormai quotidiano, guadagna mesto, per la prima e unica volta, l'uscita di scena: il teatro, luogo liminare e soglia del mondo ebbro dominato dal dio e dal Gioco, non è spazio che gli uomini possano abitare.
Si replica stasera. Sabato 22 dicembre lo spettacolo sarà al Teatro Niccoli di San Casciano Val di Pesa, a gennaio le repliche al La Mama’s Theatre di New York . In seguito, il 31 gennaio a Grossetto (Teatro degli Industri), dal 6 al 10 febbraio al Metastasio di Prato e il 22 febbraio al Guglielmi di Massa.

Spettacolo
Pinocchio da Carlo Collodi
Adattamento e regia: Maria Grazie Cipriani
Scene e costumi: Graziano Gregori
Suono: Hubert Westkemper
Luci: Angelo Linzalata
con Giandomenico Cupaiuolo, Elsa Bossi, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Jonathan Bertolai, Carlo Gambaro, Luana Gramegna
Fotografie realizzate da Filippo Brancoli Pantera

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