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lunedì 26 dicembre 2011

Shakespeare a pezzi

(da Giudizio Universale)
Dopo Amleto, Mercuzio non vuole morire il nuovo "studio" del regista Armando Punzo sui testi del bardo inglese. Nella rappresentazione degli attori detenuti della Compagnia della Fortezza, la vicenda di Romeo e Giulietta viene frammentata e ricomposta da capo. L'abbiamo visto per voi al Festival di Volterra
di Igor Vazzaz



Se il teatro da sempre si lega al rito, reiterazione d’un atto cristallizzato nel suo (dis)farsi, è del tutto comprensibile che la replica, intesa come calco di un’impronta estetica che si rende forma precipitata e ritornante, possa essere non solo ammessa, ma plausibile, nel percorso di un artista, di un gruppo, di una situazione. È con questa certezza, dunque, che ce ne torniamo dalla doppia visione di Romeo e Giulietta - Mercuzio non vuole morire, ennesima impresa della Compagnia della Fortezza capitanata da Armando Punzo, spettacolo (o, meglio, studio) offerto nel corso dell’ultima edizione, quella delle nozze d’argento, del festival Volterrateatro.



Spazio scenico consueto, l’identico degli ultimi lavori firmati dal regista campano, ad abbracciare una parte del cortile sino agli interni nell’ala meridionale dell’imponente Fortezza medicea: il pubblico, superati gli obbligatori controlli per l’ingresso nel penitenziario, passa attraverso un sistema di cancelli sino a giungere in uno spiazzo più aperto, accolto da una serie di personaggi in costume che, all’alieno fluire dei visitatori, allestiscono una scenografia di poderosi pannelli fotografici. Domina il grigio: sarà il cielo plumbeo, perfettamente sposato (manco fosse un effetto registico) al cinerino degli scatti d’epoca dei cartelli, contrapposto ai lampi blu e rossi delle figure del cast che attende più in là, all’estremità del piazzale. Sta di fatto che il colpo d’occhio è muto, inquietante, spezzato d’un tratto dai ghigni grotteschi d’una disfida spadaccina, il maledetto duello che si conclude(rebbe) con la morte di Mercuzio. 

Lui, figura già dal nome mercuriale, aerea, levitante e poetica, è il vero protagonista, principale motore della lamentabile tragedia che il Bardo cuce addosso alla città di Verona. Lui che rappresenta il sogno, la poesia, la sfida per e all’impossibile, diviene dunque simbolo principe, al pari dell’Amleto di Hamlice (qui la nostra recensione), della poetica punziana, alfiere d’un teatro utopico, disperato e speranzoso, che sfida il mondo al cambiamento.

La tragedia non si dipana: frammentata in lacerti di scena, ardita com-posizione di testi e parole scippate, mescolate, contaminate nella creazione d’un ipertesto ineffabile, che non si lascia com-prendere, ma solo sentire. La recita esplode: nei fondali semoventi, nella ridda di voci accavallate, di scene che spingono il pubblico nel carnaio dei cunicoli interni dell’ala carceraria, ricoperti di carta recante altre parole, altri testi. Nelle sudate stanze ai lati del corridoio, spettatori abbacinati, straniti, accaldati, seguono uno spettacolo dove tutto avviene contemporaneamente: carnevale di drammaturgia cumulativa che somma, all’intarsio scespiriano, reminiscenze d’un Dante inferico e flussi di coscienza d’un Odisseo agognante Itaca.
 
E se Mercuzio non morisse? Se lo chiede, ce lo chiede, implicitamente, un Punzo nerovestito, vermiglio cuore gigante sul petto, lacrime di sudore a imperlarne il volto, mentre impazza la detonazione scenica d’una compagnia picciola, potente e coesa, che il regista conduce nella resa efficace d’un gioco scenico ardito e vertiginoso. È maestro nel turbinar parole, nel far risuonare versi che secoli e pigrizia spesso ci consegnano inerti e impolverati: e il suo sorriso, disperato e speranzoso, ci chiede di sognare, di non rinunciare, d’obliare ogni resa. Se lui, di fronte al sacco indecente cui i nostri governanti han sottoposto il mondo dello spettacolo da un momento all’altro, è stato in grado d’inventarsi un’edizione del festival come quella appena conclusa, forse, una speranza rimane.
 
Poco conta che questo Mercuzio sia, specie nella struttura, simile all’Amleto ibridato d’Alice che l’aveva preceduto; poco conta se la costruzione retorica soffre, nel complesso, di qualche prevedibilità eccessiva, per il crescendo catartico che afferra lo spettatore nella morsa di un’emozione lancinante. Sono comunque pochi gli spettacoli teatrali che lasciano, lo si voglia o meno, un buco allo stomaco, un dolore fecondo, una stretta insanabile, e quelli della Fortezza ci riescono sempre, nell’ostinata convinzione che il teatro, e solo il teatro, possa coltivare l’utopia di congelare l’inevitabile, sospendere il gesto e, in definitiva, di cambiare la storia.
20 Settembre 2011


Oggetto recensito:
Compagnia della Fortezza, Romeo e Giulietta - Mercuzio non vuole morire, regia di Armando Punzo
Visto: a Volterra (Pi), Fortezza Medicea, 28 e 29 luglio 2011, nel corso di Volterrateatro 2011
Prossimamente in scena: dal 29 settembre al 3 ottobre a Gubbio (PG), Centro Teatrale Umbro. Per le date degli altri spettacoli della compagnia controllare qui
Produzione: Carte Blanche-VolterraTeatro / Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Regione Toscana / Comune di Volterra / Provincia di Pisa / Ministero della Giustizia Casa di Reclusione di Volterra / Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra / Cassa di Risparmio di Volterra s.p.a.
La Compagnia della Fortezza: una delle più importanti realtà teatrali italiane, da ormai vent’anni, ben al di là dell’aspetto, pur notevole, di essere interamente composta da carcerati reclusi nel carcere di Volterra, bel al di là dei premi e dei riconoscimenti raccolti
La prossima sfida di Armando Punzo: dopo l’edizione 2011, la prima in cui gli spettacoli (benché condensati in tre giorni) degli artisti ospitati si tutti sono svolti all’interno del carcere, il sogno è, per il prossimo anno, di “aprire la città al carcere”. Come sarà possibile, non è dato saperlo, ma siamo certi che non si tratta di un mero slogan
giudizio:

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